Cerimoniale nobile e contadino insieme, il primo assaggio rivela al palato segreti che le parole non saranno mai in grado di tradurre.

 
 
 
 
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Un po’ di cultura

Di cosa parliamo, quando parliamo di
Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia

Cultura da assaporare

È celebrazione di una terra, incanto, poesia di rituali che si perdono nel tempo, segreti iniziatici tramandati di famiglia in famiglia. Cerimoniale nobile e contadino insieme, il primo assaggio rivela al palato segreti che le parole non saranno mai in grado di tradurre.

Un segreto che corre lungo la storia

Già nell’Ottocento è documentato che la batteria delle botti era un tesoro di famiglia, dote preziosa per ogni sposa. Ma per scrivere la storia dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia, distillando gocce nere come l’inchiostro, dobbiamo inerpicarci ancor più indietro nei secoli.

Cantato da Ludovico Ariosto, adorato dai Duchi D’Este, fu particolarmente gradito già dall’imperatore Enrico III di Germania, che poco dopo l’anno Mille, come riporta il poema Vita Mathildis, chiede a Bonifacio proprio lo speciale aceto che “aveva udito farsi colà perfettissimo”. Le prime congregazioni documentate a Reggio Emilia e a Scandiano risalgono al dodicesimo secolo: gli affiliati giuravano di non rivelare mai il segreto del preziosissimo elisir.

Il metodo di produzione dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia

Oggi, come mille anni fa, il metodo di produzione consiste in rincalzi successivi da botti differenti. L’Aceto Balsamico Tradizionale si attinge esclusivamente dall’ultima, dove  rimane sempre il quantitativo più antico. In particolare, per potersi fregiare del titolo di Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia, l’elisir deve vantare un invecchiamento di almeno 12 anni, che può arrivare a superare i 25 per le produzioni più preziose. Si tratta di un prodotto DOP, ovvero di origine protetta, la cui ineccepibile qualità è difesa e garantita da un Consorzio di Tutela.

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